martedì, giugno 13, 2006

IL PERCHE’ DELLA RICHIESTA DI REFERENDUM

Nella passata legislatura la maggioranza di centrodestra ha approvato in Parlamento la modifica della Costituzione soltanto con i propri voti. Cosa più grave, lo ha fatto non solo senza cercare l’accordo con la minoranza ma, addirittura, nonostante la ferma opposizione del centrosinistra, nonché delle principali associazioni sindacali, di categoria e della quasi totalità dei costituzionalisti italiani.
Per essere definitivamente approvata ed entrare in vigore, infatti, la riforma deve passare al vaglio dei cittadini, che dovranno esprimersi attraverso un referendum confermativo.
Il referendum lo potevano chiedere, e lo hanno fatto:
a) un quinto dei parlamentari
b) cinque consigli regionali
c) 100.000 cittadini
Per questo, entro la metà di febbraio del 2006, tutte le forze politico-sociali che si sono attivate in difesa della costituzione si sono impegnate alla raccolta di almeno 1 milione di firme.
Il referendum è quindi l’occasione per spazzare via questa obbrobriosa riforma, tanto più che, trattandosi di referendum confermativo e non abrogativo, il risultato sarà valido a prescindere dal numero di persone che si recherà alle urne (in altre parole non c’è il quorum del 50% degli elettori perché il referendum sia valido).

I motivi per cui è necessario impedire che questa riforma entri in vigore sono tanti.
Innanzitutto perché introduce un federalismo falso, confuso e spendaccione; mette in pericolo l’unità nazionale, colpendo i diritti fondamentali dei cittadini e creando discriminazioni tra gli stessi; indebolisce il potere di alcuni dei più importanti organi costituzionali dello Stato e ne altera pesantemente gli equilibri.

1) La Devolution
Il federalismo approvato dal centrodestra è un federalismo devastante, al tempo stesso eccessivo e fasullo. Da un lato, infatti, si trasferisce alle Regioni un insieme di competenze legislative così ampio e vasto, da minare alla base l’unitarietà dei diritti fondamentali dei cittadini e della concezione stessa dello Stato.
Passa infatti interamente ed esclusivamente alle Regioni la potestà legislativa in materie fondamentali quali sanità, scuola pubblica e sicurezza.
Il che significa immaginare un paese dove l’egoismo prevale sulla solidarietà e il localismo, secessionista sulla visione unitaria e sugli interessi generali del paese.
Se questa norma venisse confermata, potremmo avere tanti modelli di sanità quante sono le Regioni e, soprattutto, livelli di sanità diversi a seconda della grandezza e della ricchezza delle varie regioni.
Avremmo una scuola pubblica con programmi, indirizzi e orientamenti che potrebbero essere diversi a seconda delle varie regioni. Scuole diverse e processi formativi diversi che potrebbero portare alla formazione di cittadini di serie A e di serie B.
Avremmo le forze di polizia e del comparto della sicurezza in generale ridotte ad uno “spezzatino” regionale, coordinamento nazionale (e internazionale) tra le forze di polizia, indispensabile per fronteggiare una criminalità (e a maggior ragione, un terrorismo internazionale) che, oggigiorno, è sempre più “globale”.
Al tempo stesso, tuttavia, questa brutta copia di federalismo immaginato dal centrodestra nasce zoppa, in quanto, contemporaneamente, e già da diversi anni, il governo Berlusconi sta riducendo drasticamente i trasferimenti economici agli enti locali, sicché si verifica il paradosso di Comuni, Province e Regioni che hanno sempre più poteri ma sempre meno soldi per esercitarli.
La devolution prevede inoltre la trasformazione del Senato in “Senato Federale della Repubblica”, la cui composizione è integrata da rappresentanti degli enti locali, senza diritto di voto.
È questa una parte della riforma totalmente caotica ed irrazionale e che rischia di portare a pesanti conflitti tra i poteri legislativi dello stato (Camera, Senato Federale e Regioni). La riforma infatti lascia alla Camera il compito esclusivo di votare la fiducia al Governo e di legiferare sulle materie residue di competenza esclusiva dello Stato, salvo però il potere del Senato Federale di proporre modifiche su tali leggi, rinviando la legge stessa alla Camera. Al contempo il Senato ha la facoltà legislativa sulle materia di competenza concorrente tra Stato e Regioni. Ma la Camera può rinviare al Senato le leggi dallo stesso approvate (su materie di competenza concorrente tra Senato e Regioni). Sicchè si potrebbero realizzare paradossali situazioni di stallo istituzionale, su leggi sulle quali oltre al potenziale conflitto di attribuzioni tra Stato e Regioni – dato dal fatto che le loro funzioni sono concorrenti – vi potrebbero essere ulteriori contrasti tra la Camera ed il Senato Federale. Ma non basta. Perché anche il Governo può decidere di modificare le leggi approvate dal Senato Federale. E qualora il Senato Federale non accetti le modifiche proposte dal Governo la parola ultima sulla legge del Senato Federale spetterà alla Camera (!!!!).


2) Il Primo Ministro e gli altri Organi Costituzionali
Questa riforma, tenta di, introdurre nel nostro ordinamento la figura di premierato forte, anzi, così forte che molti costituzionalisti hanno provocatoriamente parlato di dittatura del premier.
Il Premier, infatti, potrebbe scegliere di revocare a propria discrezione i ministri. Diviene titolare assoluto del potere di scioglimento delle Camere, acquisendo così un formidabile strumento di pressione e di coercizione verso i parlamentari della sua maggioranza che, in ogni momento, in caso di mancata fedeltà alla linea politica del premier si troverebbero sottoposti alla spada di Damocle dello scioglimento delle Camere.
È prevista, è vero, la facoltà per il Parlamento di votare la sfiducia costruttiva al Premier, indicando il nome del nuovo Premier, ma tale sfiducia costruttiva può essere votata soltanto dalla stessa maggioranza che ha vinto le elezioni, con la conseguenza che, se il Premier è anche il leader di un partito, anche soltanto medio-piccolo, potrà sempre impedire, di fatto, la propria sostituzione e tenere in scacco l’intero Parlamento.
Lo strapotere del Primo Ministro è poi reso ancora più evidente dall’indebolimento dei poteri e delle funzioni degli altri organi costituzionali.
Il Presidente della Repubblica, di cui pure tutti gli italiani hanno ben chiaro il ruolo decisivo da sempre svolto nel nostro Paese – quale punto di equilibrio e di “mediazione” tra le forze politiche contrapposte e i diversi poteri dello Stato – viene ridotto al mero rango di notaio, senza più alcun potere o ruolo effettivo nei confronti del Governo e del Primo Ministro, avendo perso il potere di nomina dei Ministri e del Primo Ministro nonché quello di sciogliere di propria iniziativa le Camere.
Il Parlamento, in virtù del combinato disposto della riforma costituzionale e della nuova legge elettorale (che consente, di fatto, ai segretari di partito, in occasione di ogni elezione, di compilare a tavolino l’elenco dettagliato di chi entrerà o meno in Parlamento, togliendone il potere di scelta ai cittadini) è un Parlamento deputati e senatori a “sovranità limitata”. Soggetti non solo al permanente ricatto di scioglimento delle Camere da parte del Premier ma anche al permanente e stringente vincolo di comportamento dettato dalle segreteria dei propri partiti.
La Corte Costituzionale, che i Padri Costituendi hanno voluto porre come l’ultimo baluardo della nostra democrazia, a tutela del rispetto e della salvaguardia effettiva dello spirito e della norma della costituzione da parte del legislatore, nonché Giudice ultimo dei rapporti tra gli altri Organi Costituzionali, esce indebolita e resa, da questa riforma, meno autonoma dai condizionamenti della politica.


L’equilibrio interno della sua composizione viene infatti profondamente stravolto.
Mentre la Costituzione prevede, attualmente, 15 membri, nominati: 5 dal Presidente della Repubblica, 5 dalla Magistratura e 5 dalle Camere, la nuova riforma, pur lasciandone immutato il numero complessivo, ne stravolge gli equilibri, prevedente che i Giudici Costituzionali siano così designati: 4 dal Presidente della RE pubblica, 4 dalla Magistratura , 7 dalle Camere. È evidente che una Corte Costituzionale nella quale i componenti di designazione del potere politico passano da 1/3 alla metà (meno uno) è una Corte molto meno autonoma, forte ed indipendente e, conseguentemente, è una Corte che rischia di subire forti ed indebiti condizionamenti di carattere politico.
È per tutte queste ragioni che, assieme all’intero centrosinistra e a moltissime altre forze del mondo della cultura, del diritto e della società civile, è stato creato il Comitato “Salviamo la Costituzione” con la finalità di promuovere, attraverso la raccolta delle firme per l’indizione del referendum e, successivamente, attraverso la più ampia e diffusa partecipazione di cittadini al voto, una enorme mobilitazione popolare che, con lo strumento democratico del voto referendario possa cancellare una volta per tutte questa pessima riforma.

sabato, giugno 03, 2006

Sanità, corsa contro il tempo per gli aumenti

Roma, 3 giugno 2006 - Un mese di tempo per scongiurare l'aumento di Irpef e Irap per i cittadini della regione Lazio. Ma già mercoledì 7 giugno potrebbe essere una prima data importante riguardo alla questione. Proprio quel giorno, infatti, arriverà in Regione il responso di un tavolo tecnico che valuterà l'ammissibilità del piano stilato dalla giunta Marrazzo per evitare gli incrementi paventati dal ministro della Salute Livia Turco. Scongiurato il commissariamento, si fa strada l'ipotesi di un affiancamento del Governo per ridurre il deficit di 4 miliardi ereditato dalla giunta Marrazzo, come aveva chiesto lo stesso governatore qualche giorno fa. Solo dopo il 7 giugno, quindi, si saprà se i piani della Regione sono stati considerati fattibili. Solo successivamente all'approvazione del tavolo tecnico, infatti, il documento arriverà all'attenzione del governo, che dovrà pronunciarsi - entro il 30 giugno - sulla loro effettiva operatività e decidere se evitare l'aumento delle tasse o meno.Altre cinque regioni, oltre al Lazio, potrebbero vedere l'aumento di Irap e Irpef a causa dell'eccessiva spesa sanitaria: la Liguria, l' Abruzzo, il Molise, la Campania e la Sicilia. (RomaOne)