martedì, giugno 21, 2005

Beni Culturali: dalla privatizzazione al polpettone

Così come ormai è noto, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali è stato oggetto, nel corso degli ultimi anni, di numerose trasformazioni.
Già dalla nuova denominazione, anche un profano percepisce che le competenze di questo storico Dicastero sono state ampliate. Non a caso da Ministero per i Beni Culturali e Ambientali si è passati a Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Infatti, alle originarie competenze in materia di valorizzazione, conservazione e tutela dei Beni Culturali e Ambientali (come ad esempio musei, zone archeologiche, biblioteche e archivi), sono state aggiunte altre competenze in materia di sport, cinema e spettacolo. Fin qui nulla di grave anche se l’ampliamento delle competenze ha, per taluni aspetti, snaturato quello che era lo spirito dell’originario Ministero voluto dal Senatore Giovanni Spadolini.
Peraltro, la cosiddetta “privatizzazione” dei Beni Culturali, voluta dall’ex Ministro Giuliano Urbani è stata oggetto di molte critiche da parte di numerosi e competenti rappresentanti del mondo della cultura e della politica. Non dimentichiamoci che l’allora Sottosegretario di Stato del Ministero per i Beni e le Attività Culturali On. Vittorio Sgarbi, fu destituito dal suo incarico proprio perché, da uomo di cultura, si era reso conto del grande rischio che una privatizzazione poteva comportare. Certamente non si tratta di una privatizzazione nel senso letterale del termine poiché lo Stato continuerà ad esercitare la tutela dei Beni Culturali mentre la gestione può essere affidata a privati.
Un esempio per tutti è quello del Museo Egizio di Torino che si è trasformato in Fondazione. Vi sono però altre novità che riguardano il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e che sono sconosciute ai non addetti ai lavori. Recentemente, a causa della riduzione del 5% della spesa di organico prevista dalla legge finanziaria del 2005 riguardante le Pubbliche Amministrazioni, alcuni Musei potrebbero trovarsi senza un Dirigente e, con la soppressione del posto di Dirigente, si passerebbe automaticamente ad un accorpamento di più Musei. Vi sono però diverse tipologie di Musei e alcuni di essi, per la specificità delle proprie competenze, non possono in alcun modo essere accorpati ad altri di diversa natura e competenza. Un esempio per tutti è quello del Museo Nazionale d’Arte Orientale di Roma.
E’ un Museo unico nel suo genere e con una lunga storia alle spalle. Si è ipotizzato un accorpamento di questo Museo con il Museo Preistorico ed Etnografico “Luigi Pigorini” e quello delle Arti e Tradizioni Popolari. In parole povere un polpettone di competenze così diverse fra loro e tutto questo per motivi di risparmio. Certamente i conti debbono quadrare ma, rendere vana l’autonomia e la specificità delle competenze di un Museo come quello Nazionale d’Arte Orientale, che si è specializzato nel corso degli anni con un’intensa attività archeologica e studi specialistici sul Medio ed Estremo Oriente, significa gettare alle ortiche il frutto di anni di intenso lavoro e, ancor di più, non guardare al futuro.
Non dimentichiamoci che in questo periodo storico, l’Italia ha quanto mai necessità di comprendere la cultura mediorientale. Inoltre è ormai consolidata una strisciante simpatia ed interesse verso il Buddhismo e la cultura tibetana. Infine non dimentichiamoci che l’attuale politica economica del Governo sta guardando sempre di più ad oriente. A questo punto è lecito domandarci se sia ragionevole ridimensionare una risorsa così prestigiosa e che l’Europa ci invidia o se invece non sia più saggio trovare altre soluzioni che ne valorizzino l’autonomia e la specificità.
Stefano Innocentini: quotidiano dei Popolari UDEUR "Il Campanile" del 21/06/2005 e quotidiano "L' Opinione della Libertà" Edizione 147 del 29-06-2005.